Sfoghi di una vita distratta #9

È già Dicembre, non mi sembra vero. Arrivato d’improvviso, senza avvisarmi che il tempo corre e mi lascia indietro.

Su le luci, che le città si illuminino, sgargianti e colorate. Che le persone spolverino le loro maschere felici e spaesate. È arrivato il mese dell’ipocrisia e dei finti regali col cuore. Per fortuna, non sono affermazioni che valgono per tutte le persone.

Mi copro più del solito: fuori c’è nebbia ed è umido. Ogni volta che succede, le luci dei lampioni sembrano più sinistre del normale.

Siamo alla nona avventura, nona volta in cui voi, pazienti lettori, assistete ai miei deliri alcolici. Ai racconti sconclusionati di questa vita inconsistente.

Sedetevi al tavolo con me, godiamoci un pò la penombra che rende i nostri volti più effimeri. E partiamo per questo nuovo viaggio.

Un nuovo bar dal nome esotico, i capelli sciolti e lunghi che risaltano la luce rossa della lanterna al sale rosa. Un tavolo rigorsamente vicino alla finestra, ma abbastanza lontano dalle persone da vedere oltre le loro maschere.

Un drink dal nome particolare mi fa compagnia: Bronx. Inventato presumibilmente nel periodo del proibizionismo, da creatori forse diversi, forse confusi tra loro nelle varie fonti. Un cocktail aromatico perfetto per qualsiasi stagione.

Succo fresco di arancia, gin, vermut dry e rosso. Una base semplice, un’esplosione di sapori.

Oggi voglio iniziare questa serata narrandovi di un’argomento intenso, di cui non vado fiera. Ma le cose vanno dette prima o poi. Non si può affogare tutto nell’alcol e pretendere che il retrogusto non si senta.

Ho parlato di intimità una volta, intesa come più di un mero rapporto fisico. Non so quanti di voi hanno potuto sperimentare una cosa simile. Vai oltre l’unione di due corpi il tempo che basta. Senti l’altro dentro la tua anima, le vostre luci brillare all’unisono. Ed una volta finito ne vorresti ancora.

Purtroppo, l’ho potuto scoprire solo da poco.

Prima, le poche volte in cui, volente o nolente, ho permesso a qualcuno di asasggiare il mio corpo, è stato solo un contatto animalesco. Freddo, dettato dall’istinto altrui e la codardia mia.

Togliamoci i vestiti. Teniamoci le maschere.

Io oggi sono il coniglio e te la volpe.

Allargami le gambe, mentre ti mordo un pezzo di cuore.

Ma non posso addentare ciò che non esiste.

Ogni azione, ogni evento, ogni sensazione plasma il nostro modo d’essere per sempre, come quando si butta un sassolino nel fiume. Purtroppo, o per fortuna. Anche questa può chiamarsi parte della famosa “evoluzione”?

E certe volte penso di esser stata plasmata così tante volte, da riconoscermi a malapena allo specchio. Come se, dentro di me, ci fossero più frammenti. Uno specchio rotto in tante parti, taglienti come solo il vetro sa essere.

Anche se c’è stato un periodo della mia adolescenza dove schivavo lo specchio il più possibile, per non vedere neanche l’ombra dei miei lineamenti. Perchè? Ancora lo sto cercando.

Insieme a tutte quelle risposte che non ho trovato.

Il destino di chi cerca sempre risposte, sempre la verità: davanti a quesiti irrisolti si trova spaesato. In un loop infinito di causee ed effetti da valutare.

Poi ci sono io, che attendo che l’alcolico faccia il suo effetto e mi liberi da queste catene di domande. Almeno per il resto della serata. Almeno per stanotte. Almeno il tempo di capire le risposte che sto trovando.

Sempre se sia possibile, in mezzo a tanto chiasso.

René Magritte (1898-1967), belgischer Maler.
Speravate in una mia foto, eh?

Sorseggio, annoiata. Forse è il locale troppo caldo per i miei gusti, forse le persone che lo affollano sono tremendamente monotone.

Sembrano così leggere, così brave. Già, come disse Bukowski : “siete tutti così bravi, siete tutti così fighi, siete tutti così giusti eppure là fuori il mondo è ancora pieno di gente di merda.“

Buko è sempre stato uno dei miei autori preferiti. Lo considero concreto, cinico quel tanto che basta a sparare in faccia la vita a chi legge. Senza remore a sondare le parti nascoste degli esseri umani.

Almeno, questo è ciò che vedo io nelle sue opere.

Roteo il bicchiere, guardo fuori fino a confondermi col mio stesso riflesso. Fino a passare attraverso il vetro, confondendomi con l’aria invernale. Dopotutto, sono pur sempre un fantasma, no?

Mi ricorda i Doors, questa atmosfera.

Riders on the storm
Into this house we’re born
Into this world we’re thrown
Like a dog without a bone
An actor out on loan

Sublimo, portando con me un cocktail dal fascino sornione, con un sapore complesso, profondo e stratificato.

Molti sapori che si alternano,creando una sinfonia leggiadra, ma che scorre leggera e vellutata sul palato.

Il gusto resinoso di bosco del gin, mi ricorda il retrogusto delle persone.

La dolcezza del vermut rosso, come la prima volta che qualcuno mi ha accarezzato il viso.

I toni erbacei del vermut dry, eco di eventi lontani, nenie perse nel tempo e nella memoria.

Il tutto incorporato nella freschezza del succo d’arancia, con ogni ingrediente che sta in perfetto equilibrio con gli altri. Lo stesso equilibrio che sto cercando con questi capitoli, passo dopo passo.

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